L’ESPLORAZIONE SPELEOLOGICA DELLA GROTTA DEL VENTO

Nell’antichità la Grotta del Vento non era conosciuta come cavità sotterranea, bensì, almeno dal ‘600, come fessura stretta e impraticabile che durante l’estate emetteva una gelida corrente d’aria, capace di trasformarsi talvolta in un vento impetuoso e sibilante. Non la troviamo citata neppure dal Vallisneri, il grande naturalista che nel ‘700 compì un’indagine sulle grotte della zona, esplorando per primo, tra l’altro, il tratto iniziale della vicina “Tana che urla”.
L’unico dato certo è che da quando, a breve distanza dalla grotta, sorse il villaggio di Trimpello, gli abitanti ne utilizzarono il vento per la conservazione dei cibi. A quei tempi l’ingresso era costituito da un breve pozzetto verticale molto franoso, situato tra i detriti del “Canale di Trimpello” e la base della parete rocciosa sovrastante. Sull’imbocco del pozzetto venne costruita una piccola capanna che, essendo murata a secco, consentiva il passaggio e il rinnovo dell’aria mantenendone costante la temperatura. Anche l’elevatissima umidità relativa aveva un ruolo determinante, impedendo l’appassimento delle verdure e l’essiccazione superficiale delle carni e dei formaggi.

Fu soltanto nel 1898 che una bambina di quattro anni, Bettina, riuscì per prima ad infilarsi nel buco soffiante, troppo stretto per una persona adulta. La bimba percorse solo pochi metri: il buio, la paura ed il vento la costrinsero ben presto a tornare indietro. Incuriositi dal suo racconto, alcuni giovani che avevano assistito alla sua breve avventura, vollero tentare a loro volta l’esplorazione allargando la strettoia iniziale, ma a soli venti metri dall’ingresso, nella “Sala dell’Orso”, ebbero paura e non andarono oltre, probabilmente influenzati dalle credenze che a quei tempi popolavano ancora le grotte di esseri mostruosi e demoniaci.
Troviamo la prima citazione della Grotta del Vento nella pubblicazione “caverne e grotte delle Alpi Apuane” dei naturalisti Alessandro Brian e C. Mancini, edita nel 1913 dalla Reale Società Geografica di Roma. Due anni prima gli autori avevano raggiunto il punto più basso del sifone iniziale, dove sulla volta avevano lasciato una scritta a nerofumo che negli anni ’60 era ancora leggibile a mala pena.

La prima spedizione effettuata con fini esplorativi e di studio venne organizzata nel 1929 dal Gruppo Speleologico Fiorentino del C.A.I., che aveva avuto notizia di una forte corrente d’aria proveniente da una lunga galleria in discesa. I risultati furono però modesti poiché alcune decine di metri oltre l’ingresso il condotto si immergeva nell’acqua di un profondo sifone che in quel momento bloccava completamente anche il passaggio dell’aria. Uno di loro, un certo Marchetti, tornò nella grotta cinque anni più tardi durante un periodo di siccità e, superato il sifone, temporaneamente asciutto, proseguì per diverse centinaia di metri senza però effettuare il rilievo e senza lasciare alcuna relazione dettagliata.
Anche se mancano documentazioni in proposito, è utile segnalare che tra il 1930 e il 1940 alcuni abitanti di Fornovolasco, approfittando anch’essi della siccità, superarono più volte il sifone, spingendosi fino al fiume sotterraneo. La discesa del “Pozzo dei Lucchesi”, profondo 18 metri, fu effettuata utilizzando le corde del campanile.

Nell’estate del 1961 il Gruppo Speleologico Bolognese del C.A.I., superò di nuovo il sifone, percorse tutto quello che oggi è divenuto il “primo itinerario” e, disceso un pozzo verticale (“Pozzo dei Bolognesi”), raggiunse il sifone terminale situato nel punto più basso dell’attuale “secondo itinerario”, esplorando in totale uno sviluppo complessivo di 640 metri.
L’esplorazione più importante fu comunque quella compiuta nel settembre del 1964 dal Gruppo Speleologico Lucchese del C.A.I. In undici giorni lo sviluppo noto di questa cavità salì a 1110 metri, e vennero realizzati un accurato rilevamento topografico, uno studio geo-morfologico preliminare e un’abbondante documentazione fotografica.

Nel 1968 il Gruppo Speleologico “Garfagnana – Grotta del Vento” iniziò un ciclo di esplorazioni che negli anni successivi avrebbe più che raddoppiato lo sviluppo noto della grotta. Nel 1975 tale sviluppo era di 2470 metri. Ai rami esplorati nel 1964, in gran parte attrezzati turisticamente, si erano aggiunte altre importanti vie nuove, quali la “Diramazione dell’Intermedia” e il “Ramo dell’Infinito”, oggi percorso dai sentieri del “terzo itinerario”.
Successivamente, all’opera di questo centro locale di ricerca, si è affiancata quella di altri gruppi speleologici particolarmente attrezzati e addestrati per difficili arrampicate in parete. Tra i più attivi è doveroso ricordare il Gruppo Speleologico Piemontese del C.A.I. – U.G.E.T. di Torino e il Gruppo Speleologico “Troglolog” di Neuchâtel, ai quali si deve in gran parte l’esplorazione ed il rilievo topografico del “Cunicolo del Vento”, ancora ricco di vie inesplorate, che con i suoi 600 metri di sviluppo è per ora la principale diramazione di questo complesso sotterraneo.

Al momento attuale, nella “Grotta del Vento” si conoscono oltre quattro chilometri e mezzo di gallerie, ma restano ancora da esplorare varie diramazioni. Purtroppo quasi tutte le possibilità di proseguire si concentrano verso l’alto, dove, in corrispondenza di un livello di dolomie nere poco solubili, le gallerie si frazionano in numerose fessure impraticabili. Osservazioni compiute all’esterno hanno permesso di accertare che lo spessore di questo strato è solo di pochi metri. Per un soffio non è ancora stato possibile raggiungere la roccia sovrastante che, prevalentemente calcarea, potrebbe ospitare le eventuali prosecuzioni fino alla parte più elevata della montagna.
Verso il basso l’unica possibilità di proseguire sarebbe quella di seguire il corso dell’Acheronte, il piccolo fiume sotterraneo che fa da collettore a tutte le acque delle parti note della grotta., ma purtroppo il sifone sabbioso che segna il termine del “secondo itinerario” rende impossibile qualsiasi prosecuzione diretta. E un “bypass” che superi l’ostacolo non è ancora stato individuato.
Eppure oltre il sifone potrebbero esserci sviluppi enormi: l’acqua che esce dall’altra parte della montagna mediante la sorgente detta del “Fontanaccio” è almeno 50 volte più abbondante di quella dell’Acheronte. Evidentemente oltre il sifone deve esserci un grosso fiume sotterraneo che riceve vari affluenti (tra i quali lo stesso Acheronte), ognuno dei quali potrebbe avere originato un complesso di cavità aventi ciascuna uno sviluppo anche assai superiore ai quattro chilometri e mezzo della parte conosciuta.
In base alle attuali conoscenze che derivano da un’attenta osservazione sul volume della massa calcarea, sulle correnti d’aria, sul regime dei corsi d’acqua e sull’andamento degli strati, si ha la netta sensazione la Grotta del Vento attualmente nota non sia che la minima parte di un sistema immensamente più grande, ancora tutto da scoprire.
L’importante è riuscire a superare, verso il basso il sifone sabbioso, verso l’alto la barriera costituita dalle dolomie nere: due problemi tutt’altro che semplici da risolvere.

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